IL CANE INVENTATO – EVOLUZIONE DEL SODALIZIO TRA ENTI CINOFILI E ALLEVATORI
Come molti sanno, l’evoluzione delle razze (anche se ha più senso parlare di “tipi di cani”) ha seguito un processo che si perde nei secoli. Alcuni tipi di cane hanno una storia molto antica, molti altri mediamente remota e altri ancora degli sviluppi recenti. La riproduzione non seguiva la selezione, ma si sviluppava in base all’utilizzo e alla disposizione di taluni o altri soggetti.
L´avvento del concetto di standard di razza non si concentrò sulla storia delle varie tipologie di cane (che in molti casi non esistevano proprio, perché inventate) ma dalla necessità degli allevatori di partecipare alla corsa della definizione.
Successivamente è stata prodotta e concettualizzata la storia dei predecessori, dando per scontate teorie fantasiose e spesso fantastiche, per le quali i loro soggetti erano i diretti discendenti di cani che hanno vissuto sei secoli prima a quattromila chilometri di distanza. E anche se la storia della domesticazione degli “animali da cortile” si perde nei secoli, non c’entra nulla con l’evoluzione del concetto di razza che da quel momento in poi enti cinofili, kennel clubs e allevatori hanno iniziato a perseguire.
Chi erano questi personaggi? Stando ai loro racconti pionieristici, nobili, cavalieri e gentiluomini; in realtà erano comuni cacciatori, benestanti e con uno spiccato senso commerciale e imprenditoriale.
E la passione, con cui hanno addolcito racconti ed epopee? E’ quella del cacciatore, che fa il salto di qualità e si dedica ad altre razze. Lasciato il fucile e gli addestramenti specifici nell’armadio, imbracciano i prodotti per toelettatura e sfilano nei ring in cui i cani vengono costretti a movimenti innaturali al limite del maltrattamento. Tutto ciò con il coordinamento attivo dei neonati club di razza, veri protagonisti della lenta e silenziosa cavalcata del mondo delle esposizioni canine, cartine di tornasole del successo delle riproduzioni per estetica, da cui ottenere lauti guadagni per decenni.
In Italia l’ente cinofilo nazionale è stato riconosciuto dall’amministrazione statale nel 1882: i fondatori? Carlo Biffi, Luigi Radice, Carlo Borromeo, Emilio Belgioioso d’Este e Ferdinando Delor che si presentarono dinnanzi alle istituzioni in pompa magna con l’intento di costituire una “Società per il miglioramento delle razze canine in Italia”.
Negli anni a seguire vide la luce il libro delle origini, viene ratificato lo statuto e redatto il regolamento per le iscrizioni. Leggendo questi documenti si evince come la principale differenza tra il concetto di allevamento precedente all’istituzionalizzazione delle razze e degli standard e quello post-standard fosse esclusivamente di tipo economico, strettamente intrinseco all’evoluzione dei processi di industrializzazione della società in atto, e da essa direttamente dipendente.
Come abbiamo visto, i primi allevamenti nacquero contestualmente all’attività venatoria verso la metà del 1800 nel Regno Unito, negli Stati Uniti, ma anche in Europa (Germania e Svizzera) e Giappone. Ma solo con la diffusione degli standard, a cavallo di secolo e dopo una trentina d’anni di embrionali selezioni, iniziò quella che si può tranquillamente chiamare era dei cani di razza.
Importazioni e scambi erano molto frequenti dal 1860 in poi, sulla scia delle prime esposizioni canine. Inizialmente la narrativa degli enti cinofili non si basava sulle più recenti e dozzinali frasi a effetto come tutela della razza e mantenimento o purezza e diffusione, ma su temperamento, metodo e sulle varie caratteristiche che le diverse modalità di caccia relative all’ambiente richiedevano.
Negli stessi anni l’avvento della armi a ripetizione sconvolse il mondo venatorio, gli allevatori dovettero gestire cambiamenti nel metodo e nelle necessità; i cani avrebbero dovuto memorizzare le posizioni delle prede abbattute e mostrare eccellenti doti nel riporto.
Questa e altre novità cambiarono radicalmente il contesto organizzativo per allevatori e cacciatori, che con la nascita degli enti cinologici iniziarono a declinare la passione per il miglioramento delle razze su cani da compagnia e caccia verso l’accezione moderna e contemporanea.
Avviene inoltre il passaggio dall’utilità in sé all’utilità per sé. Cosa significa? Che se in passato l’utilità di un cane passava dall’evoluzione di un tipo, auto-selezionatosi per caratteristiche morfologiche proporzionalmente a quello che svolgeva in determinato luogo con e per l’uomo (caccia, guardiania delle greggi, traino, guardia stanziale di un quartiere, riporto portuale o la forma primordiale di compagnia) senza l’intervento invasivo da parte dell’allevatore, con la nascita degli allevamenti moderni e con la diffusione delle classificazioni [1] la riproduzione non avrebbe più seguito percorsi genetici autonomi ma sarebbe stata definitivamente sostituita dal volere dell’umano.
La ricerca della purezza razziale diventa la missione unica dell´ente cinofilo, che si realizza attraverso il riconoscimento, la catalogazione, il mantenimento e il miglioramento degli standard. Purezza che viene garantita dal certificato genealogico, meglio conosciuto come pedigree.
Questi e altri fattori hanno permesso all´auto-proclamato ente cinofilo nazionale di condizionare l´esistenza stessa dei cani, portando la società a pensare che la razza coincidesse con il cane, creando così un legame mistificatorio e manipolatorio con unico scopo il lucro privato.
[1] Nel 1896 Pierre Megnin, veterinario, perfeziona la classificazione compilata da Cuvier settanta anni prima (1817), suddividendo le razze in quattro gruppi morfologici: lupoidi, braccoidi, molossoidi e graioidi; per ciascuno dei gruppi considera cinque fasce di taglia: grande, media, piccola, nana e bassotta (rispettivamente maggiore di 65 cm, tra 65 e 40 cm, tra 40 e 20 cm, minore di 20 cm e la forma bassotta che si trova esclusivamente nelle taglie piccole e nana).
