Legislazione

Cronistoria di una sostituzione etnica

Fino agli anni sessanta, in Italia, i cani di razza con pedigree rappresentavano meno dell’1% della popolazione canina e gli allevamenti erano poco meno di un migliaio, nella stima complessiva di circa un milione di cani. Oggi ci sono piu di 15 milioni di cani, di cui circa la metá di razza e incroci di razza, e i primi allevati e venduti in circa 5000 allevamenti, legali o meno. Seguendo l’attuale trend demografico, tra 10 anni ci sarà un cane per ogni persona.

In quegli anni, in cui il processo di urbanizzazione e di svuotamento delle campagne era ancora agli inizi, la maggior parte dei cani padronali si muoveva liberamente sul territorio ed era dunque spesso in contatto con i cani liberi (vaganti e autonomi), serbatoio di biodiversità da cui discendono anche le odierne razze italiane. 

Con l’introduzione del Regio Decreto 1175 del 1931 per la prima volta si imponeva di denunciare il possesso di un cane e dunque di intestarlo a proprio nome. Compare per la prima volta il concetto di proprietario e l’obbligo di pagare una tassa per il possesso dei cani padronali, distinti in: cani d’affezione (considerati “beni di lusso”), cani da lavoro o di razza e cani per la custodia di greggi e fabbricati. I cani della seconda categoria – benché anch’essi a tutti gli effetti “beni di lusso” –  godevano comunque di una forte riduzione dell’imposta, segno dell’importanza e dell’influenza che la cinofilia delle razze aveva giá al tempo e di come Enci fosse giá considerato un interlocutore istituzionale non di poco conto.

Nel 1954 avveniva un altro importante cambiamento: con il pretesto di debellare la rabbia, veniva emanato il DPR 320 con cui si procedeva di fatto a una completa eradicazione dei cani liberi e vaganti sul territorio, introducendo un vero e proprio stato di polizia veterinaria in cui il canile diventa un presidio sanitario a tutela della salute pubblica. Era l´inizio di una vera e propria strage: con una legge che ne prescriveva la soppressione obbligatoria entro pochi giorni dalla cattura, sono stati accalappiati e brutalmente soppressi milioni di cani, e non solo tra quelli liberi sul territorio. Possiamo infatti supporre che la soppressione di stato sia stata la fine anche di moltissimi cani, accalappiati e non reclamati, come tra l’altro ancora oggi spesso avviene nelle zone più rurali. Mentre dunque la cinofilia delle razze era in piena ascesa, con gare, mostre e aiuti ministeriali, iniziava nel silenzio la guerra ai randagi, una persecuzione senza quartiere che nell’arco di 60 anni ha svuotato il nord Italia dei cani che lo popolavano. Potremmo spingerci ad affermare che i cani che oggi vivono in queste regioni – e anche quelli che popolano i canili – non hanno più nulla a che fare, da un punto di vista genetico, con i cani che fino alla metà del secolo scorso erano lasciati liberi di autodeterminarsi sul territorio, cani in equilibrio con umani e altri animali, ma discendono da cani importati non oltre una trentina di anni fa, siano essi di razza o meticci.

E arriviamo all’ultimo passaggio legislativo fondamentale: la legge quadro 281 del 1991 con cui da un lato viene per la prima volta stabilito il “diritto alla vita” dei cani – prescrivendo in maniera generalizzata il divieto di soppressione salvo per gravi e comprovati motivi – mentre dall’altro si conferma l’impianto del DPR 320 (che resta in vigore). La 281 infatti propone una generica “lotta al randagismo” utilizzando questo termine per qualsiasi tipologia di cane che viva fuori dalla proprietà e identifica come unica causa della presenza di un cane vagante sul territorio l’abbandono da parte di un umano. Considerando tutti i cani vaganti come abbandonati, questa legge si basa in realtà su un grande equivoco e continua a negare – così come nel 1954 – la possibilità per i cani di una vita fuori dal controllo e dalla proprietà umana, una visione distorta e lontana dalla realtà ma perfettamente funzionale alla cinofilia delle razze, una visione frutto di pregiudizi eugenetici e antropocentrici, che considera tutti i cani meticci discendenti da cani di razza e i cani liberi come discendenti da soggetti che originariamente erano di razza ma che lontani dall’umano si sono rinselvatichiti, diventando quindi randagi. 

Grazie a questa legge si punisce per la prima volta l’abbandono e si istituisce un’anagrafe canina; ma identificando l’abbandono di fatto come l’unico problema in termini di sofferenze dei cani, non si affrontano i molteplici aspetti di un fenomeno più complesso. Il fatto che in oltre 30 anni di questa legge il numero dei cani reclusi in canile – a cui è stata risparmiata la vita biologica in nome di una morte in vita – sia rimasto sostanzialmente invariato, il buisness dei canili, i canili discarica, i cani che nascono e muoiono in canile, ci dicono che molti sono i problemi a cui la 281 non ha pensato.

Trovarsi a combattere il virus letale della rabbia ha storicamente supportato la convinzione che i cani non potessero che essere affidati al controllo umano. Se aggiungiamo che le istituzioni hanno incaricato l’imprenditoria del randagismo di una gestione capitalistica dei problemi (reali e inventati), possiamo capire perché i drammi non scompaiono ma continuano a crescere e ripetersi, finendo addirittura per inasprirsi.

Per tutti gli anni novanta e fino al 2004, con la Legge 189, l’interesse maggiore diventa quello verso la sofferenza e il maltrattamento, con molteplici progressi nel campo del benessere animale e un aumento delle conoscenze riguardo al comportamento dei cani, alcune sicuramente funzionali al miglioramento della nostra relazione con loro, altre inutilmente speculative. La direzione presa è stata comunque quella tutelativa/securitaria, che se da un lato ha portato una maggiore attenzione alla salute e all’integrità psico-fisica, dall’altro ha però visto ridursi in maniera drastica qualunque libertà dei cani di prendere decisioni in maniera autonoma. La visione che ne risulta è quindi totalmente antropocentrica: quella del cane come appartenente a una specie creata artificialmente dall’uomo e dunque da esso assolutamente dipendente. Una specie non in grado di vivere libera sul territorio perché fonte di pericolo per gli altri e per se stessa. Una specie che deve vivere sotto la stretta sorveglianza dell’essere umano al punto da accusare di essere quanto meno un irresponsabile, se non addirittura un criminale, chiunque lasci un cane incustodito o senza un pieno controllo.

A partire dai primi anni 2000, poi dal 2012 con l’Ordinanza Martini e oggi con il PLP4, il tema centrale – anche a causa dell’introduzione massiccia nel nostro paese di cani di razze provenienti da ogni parte del pianeta – diventa gradualmente quello della sicurezza e dell’incolumità pubblica dalle aggressioni. Questo ha comportato un’ulteriore massiccia stretta alle libertà dei cani, portando a una definitiva criminalizzazione di ogni comportamento di fiducia nei loro confronti. Con il PLP4 si arriva addirittura a prescrivere dei comandi obbligatori da impartire a ogni cane indipendentemente dalla soggettività, comportamenti standardizzati da esibire in qualunque situazione, il tutto verificato da un’esame di valutazione di cui Enci ha il patrocinio esclusivo. Non solo dunque si sta completando il processo di sostituzione etnica dei cani che un tempo abitavano i nostri territori con soggetti importati da altri paesi o continenti, ma sempre più il discorso si sposta unicamente e ossessivamente verso il tema sicurezza e, in particolare, verso le razze potenzialmente pericolose invocandone la totale gestione ma senza ovviamente mai metterne in discussione la produzione.

La selezione genetica, nei secoli, è riuscita a dividere e opprimere le comunità canine libere per sostituirle con una popolazione canina suddivisa in gruppi omogenei e definiti, una selezione genetica di ipertipi da affidare all’umano. Gli animali così prodotti, nella maggior parte dei casi, presentano deficit fisici e in molti casi anche difficoltà emotive a vivere con gli umani e anche con gli altri cani. Riteniamo l’industria delle razze la causa principale dell’alterazione degli equilibri di convivenza tra umani e cani che ha interrotto un millennario percorso di co-evoluzione istituendo relazioni di mero uso e consumo. Una vocazione alla manipolazione, quella della cinofila originaria, che non ha finora trovato alcuna contrapposizione, né teorica, nè ideologica, né pratica.